La favolosità del mondo LGBTQIA+

 

di Giulia Terrosi

Ho deciso di dedicare una serie di pezzi alla ricchezza della diversità del mondo LGBTQIA+, parlando delle diverse bandiere che rappresentano la comunità e dei loro significati.

Prima di tutto c’è da dire che per capire l’acronimo bisogna conoscere la differenza tra sesso biologico, genere (identità, ruolo ed espressione) e orientamento sessuale. Questo meraviglioso omino di pan di genere riesce a riassumere bene il concetto( trovate tutta la spiegazione dell’originale qui su “The Genderbread Person”, in particolare, io ho utilizzato l’ultima versione, quella 3.3).

In pratica:

Il genere è una di quelle cose che tutte e tutti pensano di sapere, in realtà molte persone non lo sanno. Il genere non è solo binario (maschio o femmina). Non è “o l’uno o l’altro”. È un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. E le combinazioni possono essere infinite!

Identità di genere: Come te, nella tua testa, definisci il tuo genere, basandoti su quanto ti allinei (o non ti allinei) con quello che tu pensi siano essere le opzioni di genere.

Tra 0 e 3 anni si pongono le basi della propria rappresentazione di genere sulle quali farà perno la fase della costruzione del sé e dell’altro da sé e il percorso lungo e tortuoso che conduce alla costruzione della propria identità di genere e di ruolo.

Il ruolo di genere è l’insieme dei comportamenti e atteggiamenti che la nostra cultura riconosce come «maschile» o «femminile». Cambia secondo il contesto storico, culturale, religioso e sociale e si basa molto spesso su stereotipi. Si apprende dai 3 ai 7 anni.

Espressione di genere: i modi in cui rappresenti il genere, attraverso le azioni, i vestiti e l’atteggiamento e come queste rappresentazioni sono interpretate basandosi sulle norme di genere.

Sesso biologico: Le caratteristiche sessuali fisiche con le quali si nasce e si sviluppa, che includono i genitali, le forme del corpo, il timbro di voce, i peli corporei, gli ormoni, i cromosomi, etc.

Il sesso biologico non decide né il genere (identità, ruolo ed espressione), né l’orientamento sessuale.

Orientamento sessuale: il genere verso cui si prova attrazione sessuale.

Orientamento romantico: il genere verso cui si prova attrazione romantica.

Vorrei affrontare velocemente un punto critico che spunta sempre quando si parla di genere: la famigerata “ideologia gender” o “teoria del gender“.

Ma cos’è? Da dov’è nata?

Tutto è partito dalla campagna dell’attivista cattolica appartenente all’Opus Dei, Dale O’Leary, che iniziò a parlare del “gender” come qualcosa di spaventoso, di sbagliato già dal 1995 quando parlò di “femminismo gender” come:

1. Il gruppo che si occupa del controllo della popolazione; 2. quello dei libertari della sessualità; 3. gli attivisti dei diritti dei gay; 4. i promotori multiculturali del political correct; 5. la componente estremista degli ambientalisti;
6. i neo-marxisti/progressisti; 7. i decostruzionisti/postmodernisti.

L’Agenda di genere è sostenuta anche dai grandi liberal governativi e da alcuni corporazioni multinazionali»

Nel 1997 la signora scrive un libro su questo, “The Gender Agenda: Redefining Equality”, il cui punto di vista è stato ripreso dagli estremismi cattolici arrivando in Italia con Manif pur Tous, associazione nata in Francia nel 2012 con la finalità di promuovere il matrimonio esclusivamente eterosessuale, l’adozione di bambini da parte di famiglie esclusivamente eterosessuali e la libertà di espressione opponendosi alle legge anti-omofobia.

In Italia Manif Pour Tous è rappresentata da Filippo Savarese che il 28 febbraio 2014 tramite Radio Vaticana promuove l’uscita del manuale “Ideologia del ‘gender’ a scuola. Un Vademecum di ‘autodifesa’ per i genitori” che ha scatenato il panico in molte famiglie, che tutt’oggi manifestano per impedire che nelle scuole venga affrontato il genere.

Seguendo questa scia, nel gennaio 2015 le associazioni ProVita, AGE, AGeSC, Giuristi per la Vita e Movimento per la vita presentano al Senato una petizione rivolta al presidente del consiglio e al ministro dell’Istruzione in cui chiedevano al Governo che venga rispettato “il ruolo della famiglia nell’educazione all’affettività e alla sessualità” e che l’introduzione della “teoria del gender” andava fermata.

La petizione diventa virale con l’hashtag #nogender ed ecco che esce il famoso spot Provita, che potete trovare qui.

Si vede un bambino che appena tornato a casa da scuole fugge via senza nemmeno salutare il padre, che preoccupato chiede alla madre cosa fosse successo. Lei risponde che il piccolo è sconvolto perché a scuola hanno fatto una lezione sessuale basata sulla teoria del gender, perché le scuole sono obbligate dal governo, e gli hanno detto che dovrà scegliere in futuro se essere uomo o donna, che è normale cambiare sesso, che potrà essere quello che vuole, né uomo né donna, che qualsiasi orientamento sessuale va bene e che anche da piccoli possono fare sesso. Parte la voce fuori campo che dice “vuoi questo per i tuoi figli?” e il padre sconvolto risponde “No!” e la voce prosegue “No alla teoria del gender nelle scuole!”.

Ecco come creare il panico basato sula completa confusione tra sesso biologico e genere che è dovuto all’ignoranza sull’argomento. Meno verranno affrontati questi argomenti, più il panico continuerà ad essere diffuso rimarremo in un Medioevo 2.0. di cosa sia sesso biologico e di cosa sia il genere. E più l’ignoranza permane, e più continueranno ad essere insegnati gli stereotipi che giustificano le discriminazioni.

Per approfondimenti su cosa sia il genere e cosa siano gli studi di genere, quelli veri, vi condivido il testo “IL GENERE: una guida orientativa” della Società Italiana di Psicoterapia per lo studio delle Identità Sessuali (Sipsis) riadattato da Stefano Marullo, che potete trovare qui ma di cui vi anticipo un pezzo sul fondamentalismo che è alla base della “teoria del gender”:

Per pensiero fondamentalista si intende una concezione del mondo che mescola due differenti piani del discorso, quello della scienza e quello della fede e della morale religiosa, per ottenere una rappresentazione semplificata e rassicurante dell’unica e assoluta realtà, così da togliere ogni spazio al dubbio e alla discussione. Questo modo di ragionare nel caso del movimento contro la “teoria del gender” dà luogo per a risposte e affermazioni raffazzonate, ideologiche e aggressive, del tipo:

a) che non ci sia né debba o possa mai esserci alcuna differenza tra sesso e genere;

b) che quindi il maschio debba essere sempre e in tutte le civiltà un solo tipo di uomo, perché così ha stabilito Dio su base biologica;

c) che dunque la donna, più debole e meno capace, debba essere sottomessa e limitata.

Il pensiero fondamentalista si basa dunque sull’idea che esistano differenze naturali, eterne, sacre, definitive e assolute tra la donna e l’uomo, fondate sulla biologia del corpo. Tali differenze sarebbero deducibili, una volta per tutte, dalle Sacre scritture e dalla descrizione che vi si trova dei rapporti tra donne e uomini – risalente a oltre duemila anni fa. Nell’interpretazione fondamentalista ci si traduce direttamente nella contrapposizione tra chi è debole, incapace, inferiore per natura, destinato a subire l’oppressione del desiderio e della volontà altrui e chi è destinato invece per natura a comandare, guidare, perfino prevaricare. La tradizione religiosa è usata, quindi, per imporre risposte che trascendono la capacità di comprensione umana alla scienza. Il punto ovviamente non è che il piano scientifico e quello religioso e morale non possano parlarsi, ma prima bisogna riconoscere e affrontare il fatto che corrispondono loro logiche e linguaggi diversi: non è corretto creare una “lingua unica”, che sottometta la scienza alla teologia, appellandosi a una presunta antropologia universale ed eterna da imporre a tutti e per sempre.

La storia ci ha consegnato molti esempi a cui è possibile rifarsi per cogliere lo spirito del discorso: uno fra tutti, la vicenda di Galileo Galilei. Da scienziato cattolico, solo scindendo il pensiero scientifico dalla sua fede religiosa ha potuto portare avanti una ricerca che ha scosso le fondamenta stesse della dottrina ecclesiastica e della visione antropocentrica dell’uomo affermando che è la Terra a girare intorno al Sole e non viceversa. Oggi chi potrebbe mettere in dubbio questa “scoperta”? Secondo questa ideologica confusione dei piani, quindi, per rispondere anzitutto al magistero dottrinale senza metterlo mai in discussione, i diversi livelli dell’identità sessuale vengono “saldati” insieme in base al presupposto di una “natura” necessaria e prescrittiva. Non potrebbe accadere altrimenti per il “genere maschio”, per esempio, che avere corredo genetico sessuale XY, possedere un’identità di genere maschile coerente con il sesso biologico, assumere certi ruoli di genere e non altri, avere un orientamento eterosessuale, adottare comportamenti e pratiche sessuali solo di un determinato tipo, avere personalità, atteggiamenti, psicologia e capacità in ogni caso “maschili” e identificarsi con lo stereotipo dell’“uomo che non deve chiedere mai”.

Ecco allora che tutto ci che “viene fuori” da questo copione infondato (destinato ad andare in crisi), e che in passato veniva più palesemente accostato all’idea del crimine o della patologia, oggi viene riferito alla “teoria del gender”, attribuita ai “soliti noti”, quei perversi nemici dell’umanità e della “natura” che sono gay, lesbiche , transessuali.

Questi fondamentalisti, in tal modo, hanno creato un nemico di comodo, portatore di un pericolo che non esiste, ma che viene agitato ad arte per far allarmare le famiglie e le “persone normali”.

È una tecnica antichissima ed è sempre stata impiegata – dai dittatori di tutte le epoche – per suscitare l’identificazione di un gruppo scomodo con un mostro, un oppositore micidiale che ordisce complotti, da perseguitare ed eliminare a tutti i costi.

Nel libro, che vi consiglio assolutamente, “Mamma, papà e gender” di Michela Marzano, viene spiegata perfettamente la nascita della propaganda della “teoria del gender”.

Detto questo, prima ancora di affrontare l’acronimo LGBTQIA+ vorrei fare una premessa per chi obietterà con “non servono le etichette, siamo tutti esseri umani”.

Ecco, vorrei sottolineare che c’è una grande differenza tra “etichette” e “definizioni”.

Se non sentite il bisogno di definirvi, o non vi interessa, va bene, non ci sono problemi. Ma non sminuite le altre persone che hanno tutto il diritto di farlo.

Ricordate che la vostra opinione è basata sul vostro metro di giudizio, che non è universale.

E sappiate che è proprio grazie alla definizione di una comunità che le persone possono capire il loro modo di essere, che possono dare un significato alla loro identità a che quindi hanno il diritto di sentirsi riconosciute dalla società, semplicemente perché esistono.

Ciò che non si dice non esiste, lo sappiamo molto bene noi che lottiamo ogni giorno per avere un linguaggio adeguato alla rappresentanza paritaria di genere.

Se non ci si definisce, si rimane invisibili, mentre definendosi si può dire al mondo “hey, esistiamo anche noi”, oppure “hey, non sei solo/a, anche noi ci sentiamo così”.

Non si tratta di “incasellare” le persone, ma piuttosto di riconoscere la loro esistenza. Su questo condivido una riflessione di una persona che stimo moltissimo, Nathan Bonnì, “La definizione non è un’etichetta: riflessione sulla “semantofobia” del popolo LGBTQ”.

Quindi le persone hanno tutto il diritto di dire che esistono ed essere riconosciute per quello che sono.

Negare o sminuire l’esistenza dell’identità di genere o dell’orientamento sessuale o romantico di una persona con frasi come “stai solo passando una fase”, “sei confusa”, “è solo l’ennesima etichetta”, “siamo tutti uguali le etichette portano solo a divisioni” oltre ad essere molto offensivo, perché si mette in discussione ciò che una persona si sente di essere,come dire a quella persona che la sua esistenza non è importante, ed è è anche una discriminazione.

Le definizioni non sono prigioni per tutte le persone, sono un modo di veicolare la loro lotta per per avere pari diritti e pari dignità con l’orgoglio di essere quel che sono.

Definirsi non porta a nessuna divisione, solo al diritto di essere riconosciute come persone facenti parte di una comunità, e quindi al diritto di esistere e di essere tutelate per questo.

I diritti non dividono mai, anzi, arricchiscono e rendono le società dei posti migliori.

Come si fa a difendere i diritti della propria condizione, se non si ha un nome?

C’è differenza tra parità ed equità, non tutte le persone hanno bisogno degli stessi identici diritti, ci sono persone che hanno bisogno di diritti più specifici e se queste persone non sono definite come si fa a rivendicare i diritti che le spettano?

Poi, logicamente, ogni persona capirà se rientrare o meno in una di queste definizioni o se non rientrare in nessuna di queste.

Poniamoci in ascolto delle altre persone, con rispetto, sempre.

E ora veniamo all’acronimo LGBTQIA (anche se in realtà l’acronimo è infinito), che avevo affrontato velocemente anche in Aiuto, arriva il Gender! (dove ho affrontato soprattutto gli stereotipi di genere), e che contiene queste nozioni. Andiamo a vederle meglio: continua a leggere QUI

FONTEUn Altro Genere Di Rispetto