Jamie, 38 anni, californiana, racconta come ha aiutato Andrea e Ferdinando, coppia italiana insieme da 15 anni, a diventare i papà del piccolo Pietro
C’è chi l’ha definita la nuova schiavitù, chi uno strumento per sfruttare il corpo delle donne, chi ancora un business sulle spalle dei bambini. In ultimo, l’emendamento all’articolo 5 sulle unioni civli depositato da Gianpiero Dalla Zaunna ha definito la maternità surrogata un reato da punire «con la reclusione da sei a dodici anni e con una multa da seicento a un milione di euro».
Di fatto, con la «gestazione per altri» una donna sceglie (volontariamente nella maggior parte dei casi, fatta eccezione per i paesi in cui la pratica non è regolamentata ma sfruttata a fini economici, come accadeva in Thailandia dove è stata definitivamente vietata lo scorso febbraio) di mettere il proprio corpo a disposizione di una coppia, ma anche di una persona single, che non può avere figli, sia omosessuale che eterosessuale, per portare avanti la gravidanza.
La portatrice non è la stessa che dona gli ovuli per la fecondazione, quindi non ha nessun legame biologico con il bambino che porterà in grembo. Questo tipo di gestazione è vietata in alcuni paesi europei tra cui Italia, Francia e Germania, in altri invece è espressamente permessa e regolata, come accade negli Stati Uniti da oltre trent’anni. Per capire cosa spinge una donna a fare una scelta così importante, ne abbiamo parlato con Jamie, 38 anni, californiana. Grazie a lei Ferdinando e Andrea, innamorati da 15 anni, sono diventati i papà di Pietro, esattamente da ventuno mesi.
«Sono sposata da 19 anni e ho tre figli adolescenti – racconta Jamie – lavoro full time per il governo locale della mia città, Orangevale in California, ho sempre sognato di poter fare qualcosa per gli altri quando ero più giovane e dopo essere diventata madre, ho pensato con consapevolezza alle coppie che non possono avere figli».
Jamie, Ferdinando e Andrea sono stati messi in contatto da un’agenzia californiana che si occupa di mettere connettere donne disponibili alla gestazione per altri con coppie desiderose di avere figli. Alla portatrice viene corrisposto un compenso che varia di paese in paese. Attraverso una serie di analisi, telefonate, incontri, le persone si conoscono e hanno modo di confrontarsi.
«E’ come fare nuove amicizie e scoprire ciò che all’altro piace oppure no. Ho coinvolto completamente la mia famiglia, volevo che mio marito fosse consapevole del percorso che avremmo affrontato e ho spiegato ai miei figli che avrei aiutato una coppia a diventare genitori, perché non sempre il corpo di una donna funziona alla perfezione e in altri casi esistono famiglie composte da due mamme o due papà, che si amano profondamente ma hanno bisogno dell’aiuto della scienza e di un’altra donna per avere figli. Era fondamentale, per me, che i miei figli capissero che non stavo dando via i miei bambini».
Da donne, in casi come questo spesso ci si domanda, come si riesca a lasciare, dopo averli cresciuti nove mesi nella propria pancia, i figli destinati alla coppia ma Jamie ha le idee molto chiare anche su questo. «Fin dall’inizio del percorso di gestazione sapevo che quel bambino non sarebbe stato mio figlio. Come portatrice, sei parte fondamentale della gestazione, ti sottoponi a molti controlli medici, puoi esprimere opinioni su tutto ciò che riguarda la gravidanza, per me però il fine ultimo, il desiderio più grande, era vedere il bambino che avevo dentro di me tra le braccia dei suoi papà».
Subito dopo la nascita di loro figlio Pietro, Andrea e Ferdinando, nel 2014 si sono sposati in California. Alla loro cerimonia, Jamie ha partecipato come testimone insieme alla donatrice degli ovuli che hanno permesso a Pietro di nascere. Subito dopo, tutti insieme sono volati in Italia per festeggiare con gli amici italiani.
«La cosa che più mi ha resa felice è vedere la gioia negli occhi di Andrea e Ferdinando, sono la persona che ha fatto crescere loro figlio ma non sono mai stata la “mamma”. Sono stata la portatrice temporanea. I bambini che nascono grazie alla maternità surrogata hanno genitori che li aspettano per oltre nove mesi, che attraversano periodi difficili e non è semplice per loro trovare una persona disponibile a portare dentro di sè i loro futuri figli per nove mesi».
Andrea e Ferdinando hanno assistito Jamie durante la nascita di Pietro, in sala parto, insieme a suo marito e ai loro figli, subito dopo sono rimasti in contatto costante con Jamie e la sua famiglia, creando un rapporto molto speciale. «Hanno avuto molta fiducia in me, chiedendomi anche consigli nei primi mesi di vita del piccolo che oggi ha quasi due anni e sa che io sono la sua zia Jamie. Quando sarà più grande conoscerà il modo in cui è nato, continuerò sempre ad avere una relazione con Pietro e i suoi due meravigliosi papà».
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Fonte | vanityfair.it