Transgender Day of Remembrance – “RaccontaTi”

 

Il 20 novembre si celebra in tutto il mondo il Transgender Day of Remembrance (TDoR), la Giornata mondiale memoria di tutte le persone transessuali e transgender vittime di odio, discriminazioni, pregiudizio e violenze.
L’evento, è stato ideato dall’attivista transgender Gwendolyn Ann Smith per ricordare Rita Hester, il cui assassinio, nel 1998, in Massachusetts diede inizio al progetto web “Remembering Our Dead“, e nel 1999 a una fiaccolata a San Francisco. Da allora il TDoR è cresciuto sempre più, fino a comprendere commemorazioni in più di 180 città e più di 20 paesi in Nord America, Asia, Africa e Oceania e Europa. Anche in Italia, da nord a sud, vengono accese candele per commemorare chi ha perso la vita a causa dell’odio e della violenza transfobica e organizzate iniziative di vario tipo.

Secondo i dati del Trans Murder Monitoring (Tmm) del Consiglio Europeo Transgender sui crimini commessi ai danni delle persone trans, dal 2008 al 2016, sono stati 2.190 gli omicidi di persone transessuali e transgender, di cui più 300 solo nel 2016.
In Europa, il triste e sconcertante primato delle vittime di omicidi di persone transessuali e transgender, tocca all’Italia con ben 30 casi accertati negli ultimi 8 anni (ovviamente parliamo solo dei casi “conosciuti”) e il numero sale, in maniera esponenziale e non quantificabile, se si prendono in considerazione episodi di violenza sessuale, verbale e di altri tipi di discriminazione.

Tra le cause di violenza transfobica, il pregiudizio, ancora troppo stratificato e presente in tutti gli ambiti della nostra società e spesso alimentato da vere e proprie campagne di “disinformazione di massa” o di propagazione d’odio. Basti pensare, per esempio, all’oramai fantomatica e tristemente famosa bufala del “mostro gender”: sono proprio le persone trans, il bersaglio preferito dai fautori di questa campagna di mostrificazione dell’educazione al rispetto di tutte le differenze, ivi comprese di quelle legate all’identità di genere e all’orientamento sessuale.

A tal proposito, a Siracusa, l’associazione d’iniziativa GLBT “Stonewall” ha pensato di celebrare il T-dor con l’iniziativa “RaccontaTi”, per dare spazio e voce, sul sito dell’associazione e sui social-media , proprio alle persone transessuali e transgender, che hanno voglia di raccontarsi.
“RaccontaTi” vuole valorizzare, di fatto, la “visibilità” come una risorsa per se stessi, per gli altre e le altre, per contribuire all’abbattimento di stereotipi e pregiudizi, perché la consapevolezza ha bisogno di cultura, esempio e corretta informazione.

Per tanto, cari amici e care amiche transessuali e transgender, chi di voi volesse partecipare a “RaccontaTi” può farlo inviando la propria testimonianza alla mail dell’associazione stonewallglbt@gmail.com.

Fai sentire la tua voce! Raccontati, come hanno fatto loro:

Principesse “col pisello”, ovvero: TRANSESSUALITA’ istruzioni per l’uso…

Quanto sapete di transessualità, conoscete persone transessuali? Comprendete cosa significhi esserlo?

La persona trans NON è un’evoluzione della “specie” gay o lesbica (Darwin e i Pokemon non c’entrano), ovvero omosessualità e lesbismo NON sfociano nel cambio di sesso. Come per l’eterosessualità questi ultimi sono parenti stretti cioè orientamenti o, se preferite gusti sessuali; la transessualità identifica invece persone che sentono d’appartenere al sesso opposto a quello a cui sono nate. Il loro corpo li contraddice, perciò vogliono adeguare la propria realtà fisica esterna al  loro vissuto interno. Il termine transessuale si declina al femminile LA transessuale, per indicare persone di sesso anatomico maschile che sentono di appartenere a quello femminile (in sigla MtF – maschile transito femminile), al maschile IL transessuale, per indicare persone di sesso anatomico femminile che sentono di appartenere a quello maschile (in sigla FtM – femminile transito maschile). Vi è poi un’ulteriore variabile cioè la persona trans-gender, cioè ad ampio spettro tutte le persone la cui identità sessuale è differente dal sesso biologico; spesso non affrontano adeguamenti chirurgici e/o ormonali, modificando parzialmente i propri tratti soma-sessuali secondari fino a definire un loro equilibrio personale. Giornali e televisione, i media, sono i primi a fare un gran casino nel definire queste condizioni, associando stereotipi negativi legati a cruenti casi di cronaca.

Nell’ immaginario collettivo transex di solito è = a prostituta, latinoamericana, alta quanto un corazziere, fisico da rugbysta, bionda ossigenata, ad alta percentuale di silicone, adescatrice di casti mariti (di solito manger aziendali), oppure di “onesti” Deputati; il suo habitat è un attico di lusso, si cinge solamente di intimo in pizzo, calza tacchi 13cm, e fa copioso uso di costosi stupefacenti. Vero in minimissima percentuale, tranne per un fattore: la prostituzione, a cui LA transessuale (di solito) arriva perché la “società benpensante” nega un lavoro dignitoso per poter sopravvivere (questo fattore lo svilupperò più avanti).

Transessuali si nasce, ed io modestamente lo nacqui! Esattamente 37anni e qualche mese fa…

Nel mio caso sfato il mito: per vivere onestamente faccio la sartina di quartiere e la O.S.S. Cioè mi occupo dell’assistenza socio sanitaria (di ragazzi diversamente abili, nello specifico), alta sono alta, sono di Cuneo tanto quanto la bagna caoda, il silicone mi fa allergia e, quando lo uso è perché metto i guanti da lavare i piatti, ero serenamente single, dicevo sempre alle mie amiche: “gli uomini migliori son diventati tutti DONNE!”, ed invece, rullo di tamburi la scorsa estate nel 2016, ho incontrato my Mr. Egg, Franz il mio fidanzato attuale con il quale convivo dal luglio di quest’anno a Monza. Ho vissuto in un dignitoso appartamentino in Mondovì (vicino Cuneo in Piemonte) con la mia mamma la Sciura Germana, una gatta pulciosa di nome Camilla ed una tartaruga di terra di nome Saronno (come l’obsoleto liquorino), ora sto sistemando una bella casetta qui in Brianza perché a settembre 2018 abbiamo intenzione di convolare a nozze col MIO Francesco. Ho anche un fratello il Nando, che da quando non c’è più il mio babbo ogni tanto mi “tira un po’ le orecchie” e mi fa i sermoni chiamandomi “cara ragazza”; mi ha prodotto due splendidi nipoti spilungoni con cui vado d’accordo. Ho tante persone ed amici che mi vogliono (credo) bene, perciò sono fortunata. D’intimo metto la maglia della salute, il tacco 13 mi fa venire i calli, per droga uso gli ormoni, non perché mi sballano ma, perché sono tappa obbligata a vita del mio percorso di transizione; aggiungo che HO PAURA di finire sulla strada a prostituirmi, perché come per tante di noi quando decidi di cambiar sesso diventi improvvisamente “inabile al lavoro”, giuro che non ci crescono le tette nel cervello o sulle mani e siamo in grado di darci da fare come TUTTI!

In Italia il transito consiste nell’andare in un centro ospedaliero specializzato, farsi diagnosticare il disturbo d’ identità di genere, considerato disturbo di salute mentale, per poi confutare il tutto con tre mesi di psicoterapia demolitiva ed ulteriori tre mesi di psicoterapia convincitiva per dirti che per avere assenso agli ormoni (progestinici o testosteronici a seconda dei casi) devi essere vigile ed orientata/o nel tempo e nello spazio, non devi sentire le voci od avere visioni mistiche è allora che diventi una/o DISFORICO di  GENERE (trovate la definizione su Wikipedia). Avuto l’assenso cominciano 18/24 mesi di test di vita reale, in cui cominci a muoverti nella tua realtà socializzante: famiglia, amici, lavoro con la tua nuova identità sessuale. Ottenuta una positiva valutazione da parte dell’equipe psico-clinica che ti segue, si procede intentando causa allo stato per ottenere il permesso di operarti. Demolire e ricostruire i propri organi genitali ed apparati riproduttivi, per la legge è autolesionismo se non autorizzato, perciò ci vuole un benestare ed un avvocato che segua questo iter. Se non ci sono dissensi ti metti in lista d’attesa semi-infinita (dai 3 ai troppi anni) per l’intervento od i vari interventi, si, perché per i ragazzi FtM la trafila clinica è peggiore, mastectomia, isterectomia, ecc….

Ad operazione conclusa, ai sensi della ex. legge 164/1982, si intenta seconda causa al ministero degli interni per “presunzione d’identità”, indi vinto il contenzioso, si possono far modificare dall’ufficiale di stato civile preposto (in seguito ad ordinanza del tribunale che ha certificato l’adeguamento del sesso), il proprio nome, il sesso attribuito alla nascita sui vari documenti in proprio possesso. Un gioco da ragazzi insomma…

Diventare FINALMENTE se stessi costa: salute fisica e mentale, fatica, pazienza, tempo, soldi.

Di solito si perdono: affetti, amicizie, in molti casi la famiglia. Statisticamente per le ragazze transessuali c’è buona probabilità di perdere lavoro e subire mobbing, perciò si perde casa e possibilità di mantenimento. Poi si subiscono, isolamento, insulti, cattiverie e violenze verbali e fisiche gratuite , spesso c’è chi decide di suicidarsi per la disperazione o c’è un qualcuno che pensa a te per farti raggiungere “la pace eterna”.

Se RESISTI RINASCI, quando ti guardi allo specchio e vedi ciò che dentro di te sei SEMPRE stata/o ti senti BELLISSIMA/O, pure se per gli altri non lo sei, non importa sei TU, una principessa che ha avuto il pisello od un principe che ne ha sempre desiderato uno.

Beh, io ho resistito e ho VINTO! Si ho VINTO me stessa; il mio “concepimento” è avvenuto nel 2009, le “gravidanza” si è conclusa il 25 settembre 2014 il giorno in cui sono “nata”, gestazione lunga, quasi come quella degli elefantini. Poi sabato 11 luglio 2015 alle h.12.05 c.a, il mio “battesimo” con l’arrivo dei miei documenti rettificati, il mio VICTORY DAY!

Come mi disse tempo fa saggiamente un ragazzino a cui ho raccontato la mia storia durante un  incontro con le scuole “…certo  che per cambiar sesso ci vogliono le palle!” e questo secondo me a prescindere dal genere di appartenenza.

Cara Signora mia, che sta leggendo codesto articolo “per vivere ci vogliono le palle”.  

Leda DONNA ex TRANSESSUALE


“Mamma, voglio i capelli lunghi come le femminucce!”

Ecco, ad un tratto io, un maschietto, le dissi così. Avevo più o meno quattro o cinque anni, era il 1971 o ’72.
“Io l’avevo capito, quando mi dicesti: “Mamma, voglio i capelli lunghi come le femminucce!”. Ma non potevo… Il mondo è cattivo… “.
Ecco, ad un tratto mi disse così, in un improvviso momento di lucidità. Ci trovavamo alla RSA presso l’ospedale Rizza, qui a Siracusa, dove mia mamma era ricoverata. Era il dicembre del 2014, poche settimane prima che venisse a mancare, la vigilia di Natale.
Quella era stata la prima manifestazione che ricordassi della mia reale identità di genere. 
Sentirglielo ripetere fu come guardarmi allo specchio, avere una conferma oggettiva di quel mio ricordo, ma ne fui anche un po’ sorpresa perché non credevo che avesse capito fin da allora. Almeno non del tutto, non in modo così netto.
Effettivamente, dopo quella mia espressione, mi assecondò lasciandomi crescere un po’ i capelli e tagliandoli tipo “a caschetto”.
Tant’è che, qualche tempo dopo, capitò che un bambino mi si avvicinasse chiedendomi: “Sì masculu o fimmina?” (“Sei maschio o femmina?” – classica domanda, diremmo oggi). Io risposi: “Sono maschietto”. Perché, sì, quella era comunque l’identità in cui mi riconoscevo, almeno in apparenza, in superficie.
In effetti, a parte quella prima mia manifestazione, ero ancora incapace di comprendere quelle pulsioni, che rimasero dapprima inespresse e poi comunque sommerse, in quanto non classificabili, poiché mancavano i riferimenti culturali che mi avrebbero potuto permettere d’inquadrarne meglio la reale natura.
Questo, nonostante mia mamma si fosse in seguito anche adoperata a procurarmi un libro illustrato dall’eloquente titolo “Come Nascono I Bambini”, con nozioni elementari di educazione sessuale, e pure contro l’opinione di mio padre che non lo riteneva “opportuno”. 
Peccato che quelle nozioni si limitassero però a “piante-fiori-cani-gatti-mamma-e-papà”, quindi poco utile a capire ciò che esiste al di là della “tradizionale” visione della sessualità legata a fini riproduttivi, eteronormata e binaria.
Dunque fu inevitabile per me vivere questa specie di richiamo della giungla, questa vocazione per il femminile, quest’attrazione identitaria, specialmente questo desiderio d’indossare scarpe e abiti femminili e di truccarmi, quasi come una mia singolarità, da sperimentare seppur in segreto.
D’altronde mia mamma dopo alcuni anni, ad un certo punto nel ’76, mi tagliò i capelli “alla maschietta” ed io mi lasciai “tosare” mansuetamente.
Nel frattempo man mano mi andai rendendo conto poi che non ero proprio una “singolarità”, che oltre agli omosessuali esistevano anche travestiti e transessuali. Eppure non riuscivo ancora ad identificarmi, anzi la mia identità “installata” di superficie opponeva resistenza e lo avrebbe fatto per moltissimo tempo a venire, impedendomi con vari autodepistaggi di riconoscermi e accettarmi. 
1987: “I Still Haven’t Found What I’m Looking For”. 
Sì, come la canzone degli U2, con la differenza che non sapevo neanche più cosa stessi cercando. O chi.
Magari credevo di cercarlo fuori di me, e invece stava dentro di me: la ricerca del vero Sé.
Ci sarebbero voluti ancora altri anni di smarrimenti e di esplorazioni interiori: Perdersi è Ritrovarsi.
Riuscire a mettere tutto in discussione e accendere la Rivoluzione Personale.
E giunsi così a “L’Illuminazione”: ottobre 1995.
La definitiva presa di coscienza e accettazione della mia reale identità di genere.
A quel punto fu come trovarmi ad un bivio: da una parte si apriva la prospettiva della transizione, la quale si liberava finalmente dalle pastoie delle categorie dell’Assurdo e della Fantasia, aprendosi alla sua realizzabilità e Realtà.
Altrimenti, dall’altra parte, se non si fosse compiuto quel percorso, sarei rimasta ingabbiata in un’identità non più sentita come mia e vera, ma anche in un corpo che ritenevo diventare col tempo sempre più maschilizzato.
Ebbene, ci sono voluti altri vent’anni di ulteriori elaborazioni interiori e soprattutto d’infinite procrastinazioni prima di riuscire ad emergere completamente e a rendermi del tutto visibile.
Dopo la perdita di mia mamma ho compiuto la mia transizione sociale in piena autodeterminazione, anche grazie al mio corpo, il quale, al contrario delle mie previsioni, è tutt’altro che mutato in senso maschile, anzi mi sostiene e spinge nel verso della femminilità.
Soltanto esso richiede quella spinta ulteriore della transizione ormonale per potere sviluppare pienamente quella potenzialità rimasta inespressa e latente per così tanto tempo ed ora sempre più forte e tangibile.
Mi resta solo il rammarico per non essere riuscita a dichiararmi con mia mamma e a condividere con lei questa parte importante della mia personalità.
Capisco anche, o cerco di capire, la sua scelta di “normalizzarmi” per proteggermi vista l’epoca dei primi anni ’70 e ancora di più quella degli anni ’40 e ’50 in cui lei era cresciuta. E tuttavia riuscì ad assecondarmi, a non reprimermi in nessun modo permettendomi di essere interiormente libera, dandomi anche un’educazione aperta e paritaria, anche fuori dagli stereotipi. Infatti i miei giochi andavano dalle macchinine ai bambolotti, ai peluche, i pupazzetti di Topo Gigio, mattoncini tipo Lego, cucina e lavatrice giocattolo, pentoline e altro ancora. 
Per concludere, che dire? Oggettivamente l’essere rimasta sommersa, invisibile o poco visibile, mi ha certamente protetta da quella “cattiveria del mondo”, che siano bullismi e molestie in genere o transfobia nello specifico.
Altrettanto certo è che il prezzo pagato è stato quello della non realizzazione personale o come scrivevo in una mia poesia nel 2004:
“Donna
Se non riuscirai ad esserlo
Dovrai rassegnarti
A restare imprigionata
Nella gabbia del non vivere
E nella sua pacata, quieta
Protettiva e angosciante
Sofferenza
Nell’angoscia silente
Del non essere
Donna”
Ma questa non è la fine del mio racconto.
Perché in una Transizione
ogni principio è un arrivo,
e ogni arrivo è un principio.
Come in una circolarità quasi inesauribile.
Santina Giuffrida